Enotria: alla scoperta dei vini della Val D’Agri

Viviamo in una società in cui spesso pensiamo di sapere tutto, o quasi tutto. Così accade spesso anche in ambito gastronomico ed enologico: la besciamella è arrivata in Francia grazie a Caterina de’ Medici e il vino è arrivato in Italia per tramite dei Greci e poi Etruschi, Romani e via dicendo fino ad arrivare ai giorni nostri. Abbiamo sempre dato per scontato questo tipo di narrazione, ma se invece le cose non fossero andate proprio così? Un punto di vista alternativo può essere lo studio di ricerca del prof Stefano del Lungo sull’Enotria.

Enotria: forma antica del territorio e paesaggio viticolo in Alta Val d’Agri

Il volume curato dal prof Del Lungo insieme ad altri studiosi è stato pubblicato dall’Istituto Geografico Militare nel suo 150° anno di attività. Lo studio delle carte topografiche insieme ad approfondimenti che hanno necessariamente coinvolto altre discipline ha portato a formulare una tesi piuttosto innovativa per il mondo del vino italiano. Per questo motivo la narrazione per cui la vite sia stata “importata” nella nostra penisola attraverso la Magna Grecia dai colonizzatori greci non è più così granitica. L’Enotria era un territorio molto vasto che occupava la Basilicata e parte delle regioni vicine ed era abitata da un popolo, gli Enotri, di cui non abbiamo testimonianze dirette. Sicuramente però, data la ricchezza naturale del territorio erano un popolo ampiamente dedito all’agricoltura. E probabilmente anche alla viticoltura: basti pensare che in greco con il termine oynotron si intende il palo che sostiene la vite. Una radice che richiama questo territorio e che non possiamo ignorare.

Il mondo delle colonie greche non aveva confini stretti, ma erano territori permeabili, aperti agli scambi commerciali e alle contaminazioni con i popoli che vivevano nell’entroterra. E’ probabile quindi che che i greci, arrivati in sud Italia abbiano trovato un popolo già abituato a coltivare la vite. Magari varietà diverse e con modi e tecniche diverse, ma erano già in grado di ottenere del vino dalla coltivazione della vite. Questo studio rende l’Enotria, quindi la Basilicata e nello specifico l’Alta Val d’Agri come la culla della viticoltura in Italia.

La Val d’Agri tra storia e cultura

Come abbiamo visto l’Alta Val d’Agri era ed è ancora un oggi un territorio particolarmente vocato alla coltivazione della vite. Dai popoli pre-romanici fino ai giorni nostri le viti hanno abitato queste rigogliose colline. E’ questo infatti un territorio che si presta notevolmente alla viticoltura, per la favorevole esposizione al sole, per le correnti che asciugano i grappoli, per le frequenti escursioni termiche. Il consorzio di tutela della doc “Alta Val d’Agri” è quindi l’ultimo custode di questa tradizione millenaria. Le sette cantine che operano all’interno del consorzio sono tutte situate all’interno del Parco nazionale dell’Appenino Lucano. E godono di un ambiente salubre, non inquinato nonostante negli anni scorsi si sia parlato molto delle trivellazioni petrolifere. Questo tuttavia è un’attività che non riguarda l’Alta Val d’Agri ma un territorio molto più a valle.

Insomma stiamo parlando di un territorio unico per caratteristiche agro-climatiche che ha soltanto un “fratello” simile, ma all’altro capo del mondo. Stiamo parlando del Rio Negro, una regione dell’Argentina che è stata recentemente dedicata alla coltivazione della vita. Ma con cui, viste le notevoli, somiglianze, sarebbe interessante e anche utile intraprendere delle forme di collaborazione e partnership.

Un territorio ricco di biodiversità

La presentazione del volume curato dal Prof Del Lungo è stata l’occasione per conoscere anche il progetto di recupero di alcuni vitigni autoctoni lucani. Il progetto sviluppato e realizzato attraverso il CREA Viticoltura ed Enologia di Bari ha reso nuovamente possibile la produzione di vino utilizzando alcuni vitigni che erano ormai quasi del tutto scomparsi. E’ stato così possibile degustare il Colatamurro, un’uva a bacca rossa e i due bianchi Giosana e Ghiandara, anche noto come Aglianico bianco. Dei vini che probabilmente hanno margine di miglioramento ma che sono molto interessanti nel processo di riscoperta e valorizzazione di un territorio così ricco e importante.

 

 

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